domenica 23 maggio 2010

“Paola Piero is death, but i love you.”

Ci rendiamo conto...siamo poco presenti e ci scusiamo per questo...condominio chiede forte forte Sorry...............


Avete voglia di dare una sbirciata al nuovo racconto?? Speriamo di sììììì.


“Paola Piero is death, but i love you.”

E’ il suo segreto, questa forma di terapia.
Alle cinque, quando ha finito, non vede l’ora di tornare a casa, di togliersi le scarpe e di mettersi in poltrona.
Di solito ha un giornale e una bibita già pronti sul tavolino perché a Paola piace coccolarlo.
Lui beve, legge, si riposa, poi va a fumare una sigaretta sul balcone e aspetta.
Verso le sei e mezzo spunta il gatto sul terrazzo di fronte.
E’ un persiano bianco, di quelli di razza.
Si guarda intorno, poi con un salto raggiunge il cornicione più in basso e fa quella cosa.

[fine incipit]

Quando ero giovane una vita così non l'averei mai pensata, mi ricordo mia madre, i suoi occhi preoccupati quando mi guardava, quell'adolescente scarno con i capelli rossi troppo lunghi chiusi in quel taglio alla Beatles.

Vent'anni prima l'aria di quel Paese non profumava allo stesso modo. L'aria non profumava, ma ardeva come me di rabbia.

Io me ne stavo con Piero il mio vicino della 5th Avenue ad assaporare quel dolce gusto di vendetta. I nostri eroi dinoccolati spinti da idee, proponevano rivoluzioni fra un sorso di birra ed un altro.

Io che non avevo nulla da perdere ci ho creduto a quella rivoluzione di ossa scarne e bombe costruite in casa.



Vent'anni prima eravamo sei fratelli, la terza cucciolata, ero il pelo di mia madre e gli occhi arancio di mio padre, ricercavo il calore dei capezzoli materni con il naso, annaspavo tra i miei consanguinei per una goccia di dolce e prezioso latte.

Non avevo ancora visto del tutto la luce umida dell'agosto irlandese, fiutavo però il verde delle colline al di fuori dal nostro casolare e il belare monotono e seriale degli ovini.

Il tempo non lo percepivo, solo luci ed ombre. Sgambettavo, tentennavo, su questi stivaletti di pelo, non capivo ancora come retrarre i miei “artigli da latte”. Ero tranquillo, il mio infantile apprendimento era sereno, al contrario del cielo di questa mia malinconica patria: la cara Irlanda.

Un essere diverso da noi, che si spostava su sole due zampe, con una voce tranquilla e dolce mi nominava Sherka.

Mi ricordo tutto di quel dannato martedì agosto1969.

Mi ricordo tutto di quel dannato martedì agosto 1969.

L'aroma iniziò lentamente a svanire. Faceva caldo, il cielo era grigio e basso, opprimente. Il mare era tormentato da un vento caldo, quasi insolito.

Il sudore madido non risparmiava né me né Piero McGiven (il mio amico italo-irandese) era la rabbia che ci scuoteva e ci spingeva a quel gesto così consueto e cosi terribile quindici minuti di polvere e zolfo: quindici minuti per la nostra Irlanda.

Noi, lo zolfo, la banca e quindici minuti. La gente entrava in cravatta distesa non sospettando nulla, le vecchie in fila per la pensione e noi conoscevamo tutti i volti con le stesse facce e la stessa storia.

Uno, due... la valigia è dentro PIERO la stinge con la mano e trema. La deve mettere in un angolo prima della linea gialla.

Le cose tuttavia, prendono sempre risvolti assai imprevedibili, come appunto quel giorno, quando stavamo portando l'ordigno nella sua posizione, con adrenalinici movimenti e un occhio di riguardo per il tempo che tic-tac era scandito da un rudimentale timer casalingo.



Era un martedì d'agosto del 1969.

I miei fratelli uno alla volta sparivano....senza fare ritorno e non avevamo più loro notizie. Noi rimasti fantasticavamo su ciò che a loro potesse essere accaduto, tuttavia non ero turbato e mai avrei pensato che la mia vita potesse subire mutamenti, sarebbe rimasta bucolicamente la stessa. Ma mi sbagliavo.

Prelevato da quella “dolce voce”, messo in uno spazio angusto e ristretto, senza via d'uscita. Non camminavo, ma mi sentivo andare lontano e svaniva l'odore materno...l'odore della mia casa natale.

Poi vidi di nuovo tutto...niente pecore, niente fratelli, solo esseri diversi da me, veloci, indaffarati e impegnati e senza voci dolci.

Stai buono Sherka” si rivolgeva una voce a me, quando preso dall'agitazione provavo a fuggire.

Sta buono, andiamo in banca e poi a casa”

Ero angosciato e ansioso, disorientato e privo delle mie sicurezze. Mix emotivi pericolosi per il mio cuore felino.

Quindiciminuti.

per godermi lo spettacolo in prima fila, per un film tanto atteso.

Non vedo più il cielo e sono in un posto nuovo e strano....molti mi osservano incuriositi e facendomi una smorfia....”Miau” esterno il mio dolore.

Chi muove la gabbia ha parlato di banca e casa. Spaesato.

Dieciminuti.

Piero “Come on let's go.”

Da sopra il giornale che fingevo di leggere vidi due guardie avvicinarsi a Piero. Non mi turbava troppo perché avevamo un piano anche per questo. Piero mantenne il sangue freddo.

Otto-minuti... Paola ci aspetta per pranzo. Piccoli frammenti fremono come libellule portatrici di malaria.

Sei minuti...osservo la signora che attende di riscuotere la pensione nella mano destra tiene una gabbia con un gatto.

Cinque minuti... ancora.

Quattro... esco in giacca e cravatta mi sento bello e fiero.

Due... la grande esposione si avvicina “Where fucking is Piero ?“

Fissavo le lancette e le vedevo muoversi in fretta, Piero ancora lì, con le due guardie che parlava, io che lo conoscevo lo vedevo in difficoltà e muoversi nervosamente.



Incrocio per un secondo due occhi azzurri e rabbiosi che scompaiono a tratti, preparazione in attesa di un agguato alla preda.

Miau”.

Il mio pensiero è per mia madre e i miei fratelli. Mi dimeno.

Miau”.

Qualche cosa sta di nuovo succedendo, la mia prigione senza zampe mi fa nuovamente muovere verso un destino che non prevedo ormai più. Mi accartoccio in un angolo buio, soffio.

Maiu”.

Nessuno è turbato quanto me. Metto gli artigli in evidenza, mi preparo ad un attacco.

Miau”.

Sta buono Sherka”.

Non so che significhi buono, mi dimeno di nuovo.

Miau”.

L'aria puzza.



UNO.

Trema tutto. Fibrilla sento lo zolfo le urla e il sangue. Odore di un vento caldo e opprimente mia cara Irlanda. Mio malgrado sento gli occhi e le labbra umide piango. Tutto è cemento e polvere e io non distinguo la realtà dall'illusione. Sono i detriti che cadono e la polvere come un forte vento

e cado spezzato in due dal crollo che io stesso ho causato.

Una scheggia mi colpisce, vetro. Pian piano cerco fra i detriti Piero. Piero non è più Piero, ma un corpo fra i molti senza vita. Non è altro che un manichino di dolore. Sono solo io il mio assassino. Sono io la mia Irlanda . Qualcosa si muove è un gatto che lecca. L'unico vivo fra morti.



Miauuuuuuuuu”

Non vedo più nulla.

Mi sento il pelo pesante, sono oprresso, ma sono libero. Non c'è più una porta e per muovermi devo usare le zampe.

Tutti si sono messi distesi, nessuno è più irto su due zampe e c'è un gran silenzio.

Miau”

Non so chi chiamare, ma la mia voce esce, il mio canto di dolore.

Mi avvicino ad uno di quegli esseri annusando la morte per la prima volta.



Io e lui e basta, raccolgo le sue soffici zampe il pelo bianco è macchiato di sangue. Sembriamo usciti da un film di Romero, scappare da Paola l'unica risposta,l'unico rifugio.

Eccomi qua nella 5th Avenue, le case con i mattoni grigi mi accolgono come se nulla fosse accaduto, io e il gatto siamo parte del paesaggio. Piero è morto ma nessuno lo sa.

Paola mi apre la porta, la mia camicia bianca è sangue. Paola Piero è perito.

Paola Piero is death, but i love you.”

I miei occhi si sciolgono fra le sue braccia. Le ho detto una cosa che pensavo da sette anni. Con il sangue sulle guancia il rossore svanisce, la mia timidezza svanisce. Ci abbandoniamo ai nostri istinti facciamo l'amore dolce e selvaggio. Dopo una lunga e dolce nottata abbracciati la paura mi prende e fuggo per l'America.



Paola, capelli corvini e curve mediterranee non tradiva la sua origine.

Mi fece ritornare al mio bianco splendore.

Al chiaro di luna spesso il suo volto era increspato da acqua salata che sgorgava dai suoi grandi occhi, aveva perso il fratello e il suo amore, tutto per un martedì, che poteva essere uno qualunque, ma era un agosto del 1969, tutto per una verde isola: cara Irlanda.

Mi nutriva, mi parlava spesso e mi teneva sulle ginocchia lisciandomi il pelo con le sue lunghe dita.

Poi un giorno “occhi gelidi” alias Tomàs, varcò di nuovo la soglia. I capelli corti e rossicci,nessuna iniezione di rabbia nelle sue vene, il suo sangue si era placato.

Paola era una dura scogliera, forgiata dal dolore, solo affetto, misconosceva l'amore, era dolce, ma solitaria. Lui era tornato, per rimanere.

Alle cinque, quando ha finito, non vede l’ora di tornare a casa, di togliersi le scarpe e di mettersi in poltrona.
Di solito ha un giornale e una bibita già pronti sul tavolino perché a Paola piace coccolarlo.

Lui beve, legge, si riposa, poi va a fumare una sigaretta sul balcone e aspetta.

Io spunto, sul terrazzo di fronte, perché non riusciamo a stare vicini dopo quel martedì maledetto.

Con un salto raggiungo il cornicione più basso e al solito, dopo aver soddisfatto il mio narcisistico bisogno di lisciarmi il pelo con la mia ruvida lingua, mi siedo sulle zampe posteriori.

Lo fisso negli occhi.

Miau”.

Il mio inno per l'Irlanda e i suoi caduti.

Tutta questione di equilibrio.

Poi salto di nuovo sul balcone e gioco con Piero, il frutto di quell'amore fugace.

Piero, il figlio dell'Irlanda.



Per questo racconto il condominio ringrazia tanto tanto Disnene.....il minimo direi...un grasias.








Ah....mi raccomando...passate di qui....incontro prima delle vacanze...http://contrast0.blogspot.com/

domenica 16 maggio 2010

Irezumi Ireru


Ed...è nuovamente domenica...neanche a farlo apposta.... Ecco il condominio ed il nuovo incipit....quindi il nuovo racconto. L'altro ha superato la moderazione, ma non è stato scelto come ovviamente immaginavamo...un'eroinomane ed uno yogurt...bè...fà da sè...


C’è una specie di luminosità nel suo sguardo stamattina.
Si vede da come è entrato in ufficio, da come ha centrato l’attaccapanni con la giacca
e da come mi ha salutato unendo pollice e indice e alzandoli alla bocca per invitarmi a prendere il caffè.
Mentre lavoriamo, ogni tanto si tocca il gesso e non può fare a meno di sorridere.
Mi avvicino e fingo di leggere il comunicato che ha davanti:
una piccola scritta storta spicca sulla piega bianca dell’ingessatura.

Una scritta piccola e fine, un corsivo che definirei quasi d'altri tempi, nero come la sponda di una spiaggia lavica spicca su quella candida ingessatura al polso. Inizio a socchiudere gli occhi, come se fossero il diaframma della mia Rollei 35s, per aumentare la profondità di campo sperando di riuscire a decifrare la parola, il tutto però in modo da non farmi notare da Jack. Usualmente aveva un'espressione seria e concentrata, un'impeccabile abbigliamento stile “rampante giovane in carriera” ed un accondiscendenza per ogni ordine del capo che lo portava ad attardarsi spesso in ufficio, a sostenere turni estenuanti, nonché ad essere il candidato ideale per la promozione che si annusava presto sarebbe arrivata. Si vocifera che se la spassi parecchio al di fuori di questi pochi metri quadri, che abbia intense relazioni con donne bellissime con cui frequenta i classici posti In della New York che non dorme. Pare che non conosciamo il nostro vicino di scrivania tanto da accennare solo un “ciao” o un “come và?”, qui la vita privata di ognuno è in realtà sotto la lente di ingrandimento e le informazioni che sappiamo gli uni degli altri sono snocciolate sotto forma di romanzi più o meno intriganti, con aggiunta di personaggi e fatti a piacere, nel momento in cui attendiamo i nostri surrogati caffeinici da poco meno di un dollaro, versati automaticamente da una cameriera rettangolare e sbiadita. La mia mente a volte mi ricorda fin troppo lo schedario che se ne sta ordinato e rigido alle mie spalle, anche ora, mentre raccolgo le informazioni su di lui che posseggo. Sento che le sue labbra si avvicinano alla mia orecchia sinistra “irezumi ireru “ voce profonda da brivido. Di scatto e presa alla sprovvista mi volto trovandomi a pochi centimetri dal suo volto, repentina abbasso lo sguardo imbarazzata dalla situazione, dall'essere stata colta in flagrante e dalla sua vicinanza, il mio viso è una gigante rossa. Il grande capo entra e si dirige da Jack, togliendomi dalla situazione di imbarazzo e, al contempo, dalla possibilità di chiedergli spiegazioni. Per tutta la giornata cerco di concentrarmi sul lavoro, le pratiche, il signor Harris che non fa altro che lamentarsi per essere stato messo da parte nelle trattative di acquisto dell'appartamento sulla 47th Street, la signora Flores che vuole assolutamente vendere il suo attico in Union Street entro luglio e insomma...tutte quelle cose che normalmente so sbrigare in maniera modestamente brillante, ma che oggi, bé, mi rendo conto non sono in grado di fare. Solo una parola mi continua a sbattere come una palla pesante da flipper tra l'emisfero destro e sinistro con l'intensità della voce di Jack, che mi ricordava a tratti un eco e a tratti il vento : irezumi ireru. Attendo la fine del turno e mi preparo una serie di discorsi più o meno plausibili per avere delle spiegazioni, ma quando scocca l'ora, Jack però non c'è più. Non lo vedo il giorno successivo, non mercoledì, non giovedì, non venerdì, neppure la settimana successiva. Sparito. Qualcuno vocifera che sia stato promosso come dirigente junior di una filale estera, altri che sia scappato con una delle sue donne, forse la stessa irezumi ireru....

Così, la vita continua ad andare avanti, tra pratiche e compravendite in ufficio, serate solitarie a base di brandy nel mio loft di Midtown e, di tanto in tanto, quella parola che si riesuma senza mai essere definitivamente sepolta irezumi ireru. Trascorse circa un anno e una mattina arrivo in ufficio con gli occhi più gonfi del solito per l'insonnia crescente che ormai è divenuta mia compagna di letto, dopo la dose mattutina di caffeina mi dirigo alla scrivania e trovo una lettera.

Strano” penso.

La prendo in mano e la giro e rigiro più volte, notando francobollo postale e timbri Giapponesi.

Forse si saranno sbagliati”.

Riguardo il destinatario “Susan White.” sussurro “Certo, sono io”.

Mi decido ad aprire la busta. Una lettera in fitta calligrafia piccola e fine, un corsivo che definirei quasi d'altri tempi, nero come la sponda di una spiaggia lavica e leggo:

Irezumi ireru,

ireru=inserire sumi= inchiostro nero.

La mia vita è illuminata da lanterne avvolte di carta di riso che accarezzano femminee tele umane da disegno. Quando mi affaccio ad ammirare il panorama il mio sguardo si perde in un Hokusai del monte Fujiyama. “

Rimango a bocca aperta e rileggo più e più volte con il cuore che batte forte quella piccola calligrafia fine, un corsivo d'altri tempi, nero come la sponda di una spiaggia lavica.

Lavoro incessantemente tutto il giorno, forse come non mai, fino alla fine del turno.

Oggi è martedì. Chissà che pensano i colleghi, vedendo la mia scrivania vuota ed in ordine. Chissà che penseranno non vedendomi i giorni successivi, non mercoledì, non giovedì, non venerdì e neppure la settimana che verrà.

Io me ne sto seduta con la cintura allacciata, una busta tra le mani e il vuoto sotto i piedi. Non voglio più essere Susan White.

Voglio essere una tela per irezumi ireru.




Siamo un po' assenti sorry...Marla ci impegna...e la mente ci tarla....




domenica 9 maggio 2010

DoMenica è sempre dOmenica?

Eccoci qui....postiamo il racconto che abbiamo inviato per partecipare al contest letterario blusubianco..... l'incipit da cui tutto è partito lo metteremo in verde....
Certo Marla ha lavorato in questo, ma come condominio con i piedi per terra ci rendiamo anche conto che non sarà sicuramente il genere che BLUSUBIANCO vuole....tuttavia non possiamo violentare il nostro stile e quindi solo questo ci è uscito.... buona lettura....a vOi

Vaniglia Bourbon al plastico

[incipit]

“Assaggia.”
Il cuore gli batte forte e non sa cosa farsene delle sue braccia, così le tiene incrociate sul tavolo.
Lei gli passa il cucchiaino: sta aspettando. Ci sono tante cose da dire, adesso.
Prima di entrare in casa gli sembrava che si sarebbero esaurite tutte nello spazio che separa l’ingresso dalla cucina. Invece sono stati zitti.
Infila il cucchiaino nella parte bianca della farcitura. Suo padre avrebbe fatto lo stesso.
Il sapore del metallo è la prima cosa che sente, poi c’è solo il dolce che si scioglie sulla lingua
e gli sveglia una parte del cervello che credeva addormentata.
“Lo so perché sei venuto” dice lei nello stesso momento in cui lui si toglie il cucchiaino dalla bocca e chiede: “Cos’è?”

[fine incipit e da qui....partiamo nOi]

“Mmm..” fa una delle sue smorfie Meg “non posso credere che tu non riconosca questo sapore....”. Lei ha i capelli di zucchero filato, una rosea chioma, che ricorda i toni pastello di un amore che non avrebbe mai avuto.Ha mani fini dalla capacità, quasi incisa come uno dei suoi tatuaggi, di preparare ottimi antidoti per scacciare il dolore.Continua a muovere nervosamente la bocca mordicchiandosi, a tratti, il labbro inferiore.Fuori l'asfalto fuma sotto il traffico intenso del mezzogiorno newyorkese.Duke fissa le maniche della maglietta stinta di Meg che le arriva ai polsi, troppo caldo per indossarla. La scruta con il suo sguardo radiografico cercando di capire se le braccia esili siano ancora una coltre di pois viola disegnati da aghi spezzati.“Duke, sono pulita” e dicendo questo alza repentinamente la manica, mostrando la sua pelle lunare.“Mi ero dimenticato che tu sai leggere nella mia mente, mi sento un idiota, scus...” ma l'indice di Meg si posa sulle sue labbra serrando la fuoriuscita della A.“Sono passato a trovare la cara e dolce Meg...ecco perché sono qui....”“Mi irrita questo tuo tono. Da quando ti interessi della dolce Meg?” risponde secca accendendo una sigaretta.Meg non lo vedeva più da quella notte, quella notte che spesso appare sotto forma di un castigo donato da Morfeo in persona a Duke, spesso si svegliava sudando freddo e in quelle oniriche visioni vedeva sempre occhi vitrei di dolce Meg e la pelle iceberg....la morte le si era pericolosamente avvicinate e con essa aveva quasi stipulato l'eterno matrimonio, mentre lui non aveva saputo gridare il [NO] alla domanda “se qualcuno vuole opporsi lo faccia ora o taccia per sempre”.“Tesoro, molto ci sarebbe da dire. La luna si è ingobbita fin troppe volte dall'ultima in cui ci siamo visti. Ti devo chiedere un favore. Tu mi devi un favore.”“Ti dovrei un favore?” non prosegue oltre per non scaraventargli in faccia il suo odio, non sembra, ma al suo interno si cela la finezza di una lady del '700 e la forza, quella fulgida e delicata, della fragilità.“Meg parliamoci chiaro, tu non vuoi più essere dei nostri, questo credo che sia chiaro. Sei sparita, hai fatto di tutto per non farti trovare. Ebbene, se deciderai di farmi questo ultimo favore non mi vedrai mai più, non avrai MAI più a che fare con me.”Meg odiava la parola MAI, anche se associata alla faccia di Duke, e una moltitudine di emozioni più o meno piacevoli, iniziano a scorrere fluide nel suo apparato circolatorio, mentre la nave del disagio veleggia su cloridrici succhi gastrici.“Sembra di essere in un vero film gangstar Duke....ti atteggi da boss ora?” Lo sguardo dell'uomo si inasprisce, le si avvicina e l'afferra per il polso fissandola intensamente negli occhi.“Meg devi aiutarmi.”

“Anche tu avresti dovuto aiutarmi...” si lascia scappare.

Lui abbassa lo sguardo consapevole della sua colpa, ma prosegue sicuro, allentando la presa e dirigendosi verso la finestra, come se il panorama da scorgere là fuori fosse interessante. “Ti chiedo solo di fare una cosa che sai fare e molto bene, niente che possa farti del male” e la inchioda con lo sguardo dicendo ciò, nei suoi occhi Meg intravede un sentimento che li aveva uniti in passato. “Mi dovresti preparare uno dei tuo dolci, o meglio diciamo una variante speciale di un tuo dolce”

“Ti rifai vivo dopo questi anni solo per avere un dolce?”

“Non è un dolce qualsiasi......all'interno del dolce ci dovrà essere una speciale farcitura”

Silenzio.

“Non avveleno nessuno Duke”.

“Non ho mai parlato di usare dei veleni”.

“Per chi è questo dolce?”

“Questi non sono affari tuoi”.

Vorrebbe ribattere che invece deve saperlo, perché è coinvolta in ciò, ma una grande cefalea le sta iniziando a circondare il capo disegnando l'aureola come di una sacra icona. Desidera che Duke se ne vada al più presto. “Dammi tutte le indicazioni e farò ciò che desideri”. Si siedono al tavolo per circa due ore a progettare ogni dettaglio, poi lei si sente pronta e inizia a preparare il tutto, prima allinea gli ingredienti e poi procede. A volte capita che le loro mani si sfiorino o che i loro sguardi parlino in fretta, non lasciando elaborare ai neuroni, i messaggi che intasano le fini sinapsi. Brividi, quelli di ricordi e di un passato che non potrà rimanere che tale. E' quasi buio quando termina il lavoro. Meg è sporca di farina e ha diverse macchie sui vestiti, sembra quasi appena uscita dalle macerie di un palazzo crollato. “Ti ringrazio Meg, sapevo di poter contare su di te” e le si avvicina posandole le labbra sulla guancia. Sussulta e si irrigidisce. “Bene. Ora non mi resta che augurarti una buona vita. Non ci siamo mai salutati definitivamente Duke, ma il momento ora...è giunto” sussurra Meg cercando di mantenere un tono di voce più fermo possibile. Duke si avvia verso l'uscio, si volta e con un accenno di sorriso le dice “Comunque...era crema di latte aromatizzata alla vaniglia Bourbon.......Addio”.Si fruga nelle tasche ed estrae un sacchettino di polvere scura, lo posa sulla piccola mensola vicina all'uscio e le sue ultime parole sono “Per te bimba” e la porta si chiude alle sue spalle. Lei rimane pietrificata, senza il coraggio di andare verso quella mensola, il terrore la avvolge e si sente come pronta ad essere incatenata. Si siede sul sofà fissandola, con un certo tono a tratti di sfida, ma ancora decisa a non avvicinarsi. Ormai è notte fonda. Il giorno esordisce trovando Meg sempre nella medesima posizione, solo la radio era il suono di sottofondo. Una notizia la scuote, voce metallica che le rimarrà impressa per sempre nell'anima:

[Ordigno esplode sta notte al Diamond mentre si festeggiava l'inaugurazione, probabilmente un esperto di esplosivi lo ha celato in un dolce, muore Arsène Dumont ......].

”No.....Papà.....”

Un dolore lancinante e silenzio, non sente nulla Meg, niente di niente, le sue orecchie smettono di udire e tutto le appare chiaro.

Si alza, si avvicina alla mensola, prende la polverina e con passo lento si dirige in bagno.

[fine]


Troppo pulp?




mercoledì 5 maggio 2010

DrUnken Butterfly


_Smile like a sun, back over time_
"Non faccio altro che accendere e spegnere sigarette", pensò, mentre l'ennesima moriva avvelenata dal tichettio delle lancette tra le sue morbide e vermiglie labbra.
L'aria era satura di fumo, le bruciavano gli occhi, la gola era arsa, l'ora? Tarda.
Avrebbe voluto avere della moquette anzichè semplicemente quei gelidi quadratini con le vie di fuga che spesso seguiva con l'indice, avrebbe voluto averla anche se la odiava, buttare dei cuscini a terra, sdraiarcisi sopra priva di sensi.
_Crazy on you, pleasure is mine_
Avrebbe poi preso un piccolo plaid, leggero, ma caldo, abbastanza morbido e avvolgente da sembrare un abbraccio, lì, a poca distanza, una bottiglia di qualche cosa di forte, per anestetizzare il trapasso notturno e il travaglio del nuovo giorno in procinto di.
Era ora di decidere, di violare l'immacolata stanza mentale, di sporcare quel candido bianco vergineo, di tingere quelle pareti di un colore cupo o acceso..ma di un colore, perchè quella stanza stava iniziando ad ammazzarla, l'aria si era rarefatta e boccheggiava.
Sul suo volto erano dipinti fenomeni cadaverici, ragni velenosi dimoravano nel suo condotto uditivo, tessendo tele tra l'incudine e il martello.
_i love you i love you i love you what's your name? X2_
Si dimenava nel suo corpo l'essere urlante, che giaceva contorcendosi millequattrocentoquarantaminuti al giorno, senza stop, senza sospiri tra un lamento e l'altro, un caos di silenziosi lamenti, mal interpreati e inosservati.
Lo specchio non rifletteva nulla, era opaco come occhi di epatitiche figure, barlumi giallognoli e nulla più.
_here come through it/ giving it up _
Non aveva nessuna voglia di interagire con il mondo, nè con gli ignoti conosciuti, nè con gli ilustri sconosciuti.
Raccontarsi non era mai stata una sua qualità, lei sul dizionario sinonimi & contrari la trovate alla voce di peso, noia, "quesionedi pocaimportanza", forse anche sotto la P di patetica la troverete.
Poco interattiva, visto e anche considerato che faceva ben a meno di sentire il peso di sguardi adornati di finto interessa che indossano un intimo by "giudiziinappellabili" della linea mare "lirivelosolodietro".
_
going too far/try understand _
Un'inutile serata, sì, un'altro inutile e lento sussegguirsi di attimi che tirano lunghi sospiri, che non lasciano spazio a reali respiri, che inquinano l'organismo più del monossidodicarboni, della plastica ingoiata, dei conservanti, degli E sussegguiti da numerini e sigle tra gli ingredienti, più degli ormoni per gonfiare il grasso bovino, più degli erbicidi, del cianuro, dell'ipecacuana, del'uranio, delle scorie immonde di immondizia, più e solo più esauriente alla fine più di qualsiasi altro elenco.
_
love you i love you i love you what's your name? X2_
Si sentiva meno umiliata da se stessa solo quando tutto si incupiva e diventava laconico come il sound di una canzone dei The cUre agli esordi, un Robert Smith senza termini di paragone.
[Dakrymai] le avrebbe nominate Socrate se le avesse viste zampillanti dai suoi [galykopis idos].
Soffondi e confondi.
"Datemi aria, datemi. Datemi ossigeno, datemi."
_come on home/just ain't fair/name of rock'n'roll/where love dies _
Il malessere degli dei...si diffonde e confonde, oblio indecifrabile di sillabe impronunciabili.....si saluta mentre le porte di una grigia ascensore si chiudono, senza che lei possa raggiungersi, senza che possa salutarsi un ultima volta.
_couldn't find a soul/tell it like it is/deep down inside/drunken butterfly_
Come una sbronza farfalla verso la luce per esserne divorata.
Si amano idee e mai essenze.
_
i love you i love you i love you what's your name? X4_








Condominio al buio...tra poco si prepara una nuova stanza,
Marla sarà finalmente tra di noI e dovrà attivarsi, sì...attivarsi.


"LA SCATOLA DEI SENSI::::::::dove sei e il tuo blog??????"