lunedì 28 giugno 2010

CREEP


Un giorno qualcuno si risveglierà,
troverà paesaggi desolati,
non ci sarà verde, rosa, blu....
Dominerà il grigio, l'arsura, il nulla.
Spine e polvere,
dolorose religioni sepolte dopo millenni di imperituri poteri.
Non oro, non argeno, non rame,
strati sottili di depositi atomici.
Niente apocalisse, scenari vuoti e silenzi mortali
tagliati dalle lame di corde vocali pizzicate dalle dita di un primordiale dolore che non si rispecchia in nessun vetro.
Nessun riflesso.
Informità progressiva e trasmissibile.
URANIO.
PLUTONIO.
ATTINOIDI MINORI ---- nettunio, americio, curio.

Bugiarda Cassandra, non sarai creduta.






But I'm a creep, I'm a weirdo,
What the hell am I doing here?
I don't belong here.
I don't belong here





giovedì 17 giugno 2010

Corri a casa che Sandy ti aspetta.

Eccoci...postiamo un nuovo racconto, basta yogurt, il contest è terminato e così ora il condominio ha deciso di ritornare alla sua vena di libertà creativa...spero gradiate.



Corri a casa che Sandy ti aspetta.

"L'unica frontiera che ci rimane è il mondo dell'intangibile. Tutto il resto è cucito troppo stretto". Ingabbiato da troppe leggi. Per intangibile la Mamma intendeva Internet, i film, la musica, le storie, l'arte, le voci che corrono, i programmi per computer, tutto ciò che non è reale. Le realtà virtuali. Le simulazioni. La cultura. L'irreale è più potente del reale. Perché la realtà non arriva mai al grado di perfezione cui può spingersi l'immaginazione." (C. Pahalaniuk)

"Corri a casa, Sandy ti aspetta. Dai su, cerca di correre più veloce. "
Fissa il panorama che se ne và a 50Km/h, attraverso i vetri di quel sarcofago arancione, J. sguardo di plastica.
Poteva anche chiamarsi Debby o Angie, ma oggi no, oggi era sicuramente, senza nessun dubbio ed indecisione Sandy.
Sandy ha la carnagione rosea e liscia, come un maialino, ha degli occhi profondi e impenetrabili e le labbra rosse e carnose.
I suoi capelli sono color del fieno, sempre acconciati alla stessa maniera, sempre della stessa lunghezza, un rigoroso ordine che stona con il caos della sua stanza.
Non ha nessuna imperfezione, non parla mai a sproposito, non lo sveglia mentre dorme, non gli manda sms, né tanto meno compone il suo numero per telefonargli, né a casa, né in ufficio.
Niente.
Non prosciuga la sua Mastercard in shopping selvaggio, non gli chiede regali, non pretende che si ricordi la sua data di nascita, non lo rimprovera se passa con le scarpe infangate sul pavimento pulito.
Però….però quando la vuole...lei c'è.
A suo modo, bé, diciamolo pure... lui l'ama.
Lei rimane sempre estasiata vicino a J. ad ascoltare i suoi vaneggiamenti filosofici, senza interrompere o ribattere, pende dalle sue labbra e lui dipendo dalle sue.

E’ una strana storia questa, è la storia di J. e del suo amore per le donne.
La storia di J., l’uomo della fabbrica di plastica, quell’omone che potrebbe girare con la Ferrari, ma si accalca nelle metro affollate all’ora di punta, J. dalla stazza imponente e i pantaloni stirati con la piega, J. con le scarpe vecchie, J. che si rade e si spalma strati di crema da 100 dollari a flacone ogni 3 ore nella sua toilette personale da dirigente, perché la vecchiaia lo spaventa e lo turba.
Indirettamente è anche la storia di Sandy, la sua fredda e bollente passione.

Ricomponetevi e mettetevi scomodi.

J. oggi si sente diverso dal solito è molto impaziente e continua, come se avesse un tic, a rivolgere il suo sguardo verso le lancette, il tempo sembra non trascorrere mai, il viaggio? Troppo lungo.
Pensa a cosa le avrebbe detto, al come, alla scelta del momento giusto, perché….gliene deve parlare, non vuole più tenersi dentro quel sentimento …sente una strana ansia invadergli lo stomaco, sfarfallio, possiamo anche nominarlo.
Si torce le dita sudaticce e pallide, sente scarseggiare l’ossigeno, come se qualche cosa impedisse al gas vitale di raggiungere gli alveoli e deliziarli, che sia questo sentimento?
Una fermata, un’altra, un’altra ancora, un conto alla rovescia….
Avrebbe poi dovuto fare qualche cosa di speciale J., non può certo limitarsi ad un semplice discorsetto.
Si sente paonazzo all’idea di questa nuova svolta, già ha la salivazione azzerata, disagi iosciaminici, gli occhi sono lucidi per l’emozione, il suo cuore pompa troppo sangue in troppo poco tempo e in vasi sono incrostati dal colesterolo dei suoi pranzi made in fast food, rischio infarto 70%.

“Respira con il naso. Espira dalla bocca. Respira con il naso. Espira dalla bocca”.
Cerca di calmarsi seguendo le linee guida delle lezioni prova di yoga che aveva frequentato, ma
la sua concentrazione si trova a livello ombelicale di Sandy e ciò non lo aiuta a compiere con il dovuto rigore gli esercizi: ad ogni inspira-espira lembi di Sandy gli entrano nelle narici.
Ad un tratto una piccola fiamma rosso fuoco si accende in lui, non è una vampata di passione, ma una sorta di banale romanticismo.
Probabilmente stralci di trame e commedie hanno penetrato così intensamente il suo subconscio da renderlo quasi certo si tratti di una sua aspirazione, ora si stanno ribellando ed emergono allo stato conscio, sono scultori con la creta che plasmano gelatinosamente le sue azioni.
Quindi eccolo, impettito e finalmente con il sorriso
“Un mazzo di rose rosse”
“Quante ne vuole signore?”
Riflette un po’, non ha idea di quante rose debba contenere un mazzo.
Vedendo J. in difficoltà il fioraio gli propone un mazzo di un centinaio di rose perché sicuramente così….la sua signora avrebbe apprezzato.
J. e il suo animo allocco abboccano senza il benché minimo dubbio che questa sia un esagerazione, il denaro non è un problema ed in fondo…bé…non ha mai regalato nulla a Sandy.
Passa anche in gioielleria, perché ogni richiesta che si rispetti, necessita di essere suggellata da un brillante indorato e lascio a voi immaginare, visto cosa poco fa è accaduto dal fioraio, quello che può essere avvenuto dall’orefice.
In ogni caso riesce ad uscirne e finalmente é diretto da lei.
“Corri a casa, Sandy ti aspetta”.
Affretta il passo, ansima, si asciugando il sudore dalla madida fronte con il suo fazzoletto bianco iniziali a lato ricamate da sarte sapienti.
Era abbastanza goffo ed impacciato con quel grosso mazzo di rose in mano, il calore del sole le stava afflosciando un po’.
Le presenze femminili che gli passano accanto invidiano Sandy, senza conoscerla, pensano a quanto sia dolce quell’uomo, con quel enorme mazzo di rose, e immaginano che reazione avrebbero avuto loro al posto di lei…certe fortune capitano sempre agli altri si dice no?
Ci siamo, ora è davanti all’uscio, mette le chiavi nella toppa e gira in senso antiorario. La porta si apre.
“Sono tornato Sandy”
Nessuna risposta, come al solito.
Posa le chiavi sul mobile e decide, con un estro che non gli appartiene affatto, di fare qualche cosa di veramente speciale.
Prende una serie di candele dalla dispensa, quelle della scorta “se per caso venisse un black out”, sale al piano superiore e le posiziona meticoloso in svariati punti della camera da letto…..accendendole amorevolmente una ad una, quindi abbassa le persiane per creare un’atmosfera…intima?
Poi torna di sotto, prende le rose e risale ai piani alti. Ne estrae alcune dal mazzo e cosparge con i petali le lenzuola di seta nere, quindi posa alcuni fiori qua e là per la stanza, un po’ come fossero candele, ma sta volta, senza accenderle.
Quasi tutto è pronto.
Il brillante batte nel pacchetto posizionato a livello del suo cuore, tasca interna.
Ha un gran mal di testa ora, quello della tensione…..se dice di no?

Non può attendere oltre.

Bussa alla porta accanto, Sandy non risponde, ma è normale che sia così, quindi spinge la maniglia verso il basso e apre la porta, entrando con un sorriso da beone.
Paonazzo come non mai la prende per mano e la porta nella sua stanza, lei sembra stupita, ha sempre un certo stupore dipinto sul volto.
La prende in braccio e la posa delicatamente sul letto.
Le si accosta e le passa una mano tra i biondi capelli sorridendogli imbarazzato e inizia…
“Beh…ecco…io..insomma….ti volevo fare una sorpresa e….vorrei chiederti” la voce gli muore in gola e rantola un po’, ma continua “ vorrei dirti che per me tu sei una donna speciale Sandy e mi sono innamorato follemente di te, per questo ti chiedo….” così dicendo si fruga nella taschina ed estrae il pacchetto “vuoi diventare mia moglie?”
Sandy esterefatta.
Sandy immobile.
Sandy ha un anello al dito, ma rimane in silenzio.
J. bacia Sandy e lei pare a suo modo ricambiare.
J. slaccia la camicetta a Sandy, con le sue dita tozze e impazienti, sentendo il suo profumo da bubble gum che gli pervade le narici lo annusa fino a che la sua capienza polmonare glielo permette.
Tutto è tremendamente perfetto. Perfetto.
La passione cresce esponenzialmente seguendo la lancetta dei secondi.
Un impeto che non si arresta.
J. è immerso nel corpo da favola di Sandy, è catapultato nel suo universo segreto.
Fanno l'amore Sandy e J. Nell'arancione che riempie la stanza satura dell'essenza di rose e dell'odore dei loro corpi.
Rimangono poi distesi sui petali ormai avvizziti, J. è stanco, ma sereno...oserei dire troppo.
Sandy sempre senza parole a riempirle la bocca.
Lui le sussurra all'orecchio dolci frasi, poi si alza e la prende nuovamente per mano:
è nuda e splendida, morbida e profumata.
Il trillo del suo cellulare lo distrae, distrazioni che si possono purtroppo spesso definire fatali.
Risponde e così facendo lascia la mano di Sandy..
Sandy scivola.
Sandy cade.
Sandy cade sulle rose.
Le spine le graffiano la schiena.
J. non riesce a credere a ciò che vede, là voce dall'altra parte della cornetta perde ogni valore, non comprende più neppure il significato delle parole, con occhi salati vede lacerarsi il suo sogno d'amore.
Il futuro può essere terribile ancora prima di giungere in alcuni casi...questo è uno di quelli.
J. accasciato.
J. chiama Sandy vedendola avvizirsi e perdere la sua tridimensionalità.
Lei rimane con la sua espressione di stupore sul viso, sempre silente.
“Sandy, amore mio....” singhiozza J.
Il suo sogno d'amore distrutto per una spina capricciosa, “non ti dovevo regalare nulla, eri felice lo stesso....”.
Si spegne il sole su Las Vegas.
Si spegne il sole su un amore di plastica.
Si spegne il sole sulla sua bambola.



Massacrateci pure please...................

lunedì 7 giugno 2010

Play Reset Please






E' acerbo il sapore del grigio,
le papille gustative mandano impulsi nocivi alla materia fluida.
Galleggiano i neuroni affogati, pochi superstiti lottano per raggiungere a bracciate iceberg di materia intatta ed aggrapparsi, per poter riprendere fiato.
Non ci sono salvagenti, no, non sono sufficienti per tutti.
Solo per alcuni.
iO non sono alcuni.
Sopravvivere non basta a volte.
Contrai il diaframma e spara a mille vortici di grigiore nei polmoni.

Panorami interiori devastati da nucleari esplosioni, ricordo Hiroshima
ore 8:16...Little boy.


Per un'ora da ricordare, ce ne sono altre milioni da dimenticare.
"L'anima registra sempre il peggio".


SBAGLIOSEMPRECANDEGGIOSBAGLIOSEMPRECANDEGGIOSBAGLIOSEMPRECANDEGGIO.

Niete racconto per questa settimana.



E' tutta una fottutissima questione.....


"Up up up and down
Turn turn turnaround
Round round roundabout
And over again
Gun gun son of a gun
You are the only one
That makes any difference
What I say "










di mira.



"The sun shines in the bedroom
When we play
The raining always starts
When you go away " K.D.C.



PLAY PLEASE







Già, già, già.

mercoledì 2 giugno 2010

PARADISI GRIGI


Si...siamo ritardatari ed incostanti in questo condominio....
ci assentiamo e torniamo.

Vorrei essere solo un po'...meglio.


Vi lascio in compagnia del racconto derivante dall'incipit 6.... vi posso anche annunciare che nn è stato considerato UAUAUAUAUAuAUA...bè spero che vi piaccia, in ogni caso ci aggradano anche le critiche.
PARADISI GRIGI

Mi dico che è il momento giusto e devo sbrigarmi.Certo, sarebbe più facile se ci fosse un foglio di carta:prenderei la penna e le parole non rimarrebbero incastrate in una vena del cervello o nella gola;scenderebbero fino alla mano, sporcherebbero il foglio, ci resterebbero attaccatecon tutto quello che si portano dietro. E’ il potere della pagina bianca, credo. Ti risucchia e ti libera: è la tua possibilità di buttarti da un’altra parte.
“Allora?” mi chiede il mio editore, accendendosi una sigaretta.


[fine incipit]

Ho le mani gelide e abbraccio con stalattitiche lunghe dita meine rote Tasse Kaffee, annegando il mio sguardo color stagno nella marrone brodaglia.Maledizione,” impreco a denti stretti “ho dimenticato il taccuino...” me lo immagino là, boccheggiante, sopra l'acquario pieno di pesci, forse troppi.Tengo ancora tra le pagine il biglietto da visita della casa editrice, lo avevo trovato in uno dei libri usati che, una domenica, avevo acquistato al mercatino di Mauerpark. Il logo mi affascinò subito, mi spronai a terminare la prima bozza e chiamare quel numero a cui, secondo il logoro rettangolino, avrebbe risposto Axel. Sorrido, totalmente assente, ho trascorso le ultime serate a bere malinconia con i ricordi come unici compagni di sbronze.

Axel si alza in silenzio, si dirige alla finestra e aspira la sua dose di veleno “sono sempre troppo comprensivo con lei” e mentre pensa ciò si volta in cerca della sua figura fluttuante, espirando il fumo lentamente. La prima volta che la vidi entrò trafelata, in vestiti troppo larghi per lei, io ero immerso nel mio design berlinese, lei che attendeva un mio “Ja” o “Nein”, era un Alice spaventata, ma battezzata Anja. Mi piaceva il suo stile poco europeo, lei di fronte a me, in carne ed ossa, era precisamente come me l'ero immaginata leggendola, sfuggente e fluida, con tratti bidimensionali.

L’ufficio è spigoloso e geometrico, alla parete spicca “La madonna” di Munch, una delle poche immagini che lo abbiano fatto innamorare, un mix di verginale eccitazione, ampie vetrate lo affacciano su Berlino, Berlin che cambia in una costante kafkiana metamorfosi. Aleggia uno smog, quello della sua nicotinica passione, che ha ingiallito le copie di manoscritti accatastate in pile ordinate a formare un labirintico sentiero verso il suo trono. Squilla il telefono che mi riporta alla realtà, emergo annaspando dai suoi occhi e apro la bocca per prendere un profondo respiro, afferro la cornetta:

JA, Axel” .

La segretaria mi annuncia un cambio di programma, riunione annullata.

Meglio così” penso.“Hai dimenticato il taccuino, quindi?”

Ehm sì” risponde Anja abbassando lo sguardo.

Un flashback la catapulta all'indietro, con le mani sporche di Vinavil per fare quelle piccole palline appiccicose, la prof. che le chiede di tradurre un brano di Tacito e Anja che risponde di aver dimenticato il quaderno a casa....

Era incostante, avrebbe potuto fare di più, ma qualche ombra ogni tanto le passava vicino e la rapiva portandola in un luogo in cui io non avevo nessun accesso. Muoveva poco le labbra, i suoi personaggi evadevano dalla sua carceriera materia grigia popolando paesaggi di cartone. Mi avvicino e le porgo tre fogli bianchi, tamburella nervosamente l’indice ed il medio sullo smalto rosso della tazza ormai vuota. Quando fa così, so che ha il bisogno di scrivere. “Deve scrivere meine kleine Massen, la mia piccola folle”penso. Mi avvicino a lei:

““Asciugati, ti esce inchiostro dal naso” , le porgo due fogli.

Sembra sempre che tu mi capisca. Ma....”

Ma?...”

Niente.”

Mi alzo diretta verso la poltrona di pelle nera che sta vicino a quello che un tempo era una felce, niente pollice verde per Axel. Gli volto le spalle.

Anja non ci pensare,” mi ripeto in un monologo interiore ”sono solo cazzate. Cazzate. Siediti ed esplodi.”

Scrivo.

Blu biro, fluido, Axel chiude gli occhi e vede cancellature e curiosità di un “ma”, rimasto su un filo, un equilibrista che soffre di vertigini sospeso su di un immenso vuoto. Guarda la Madonna e sprofonda nella sedia, chiude gli occhi, non deve fissarla, si assopisce. Fuori piove. Dalla vetrata dell'ufficio, al di sopra della testa ciondolante di Axel appisolato, tra i suoi capelli scompigliati, ultime gocce d’inchiostro blu piovono su Berlino, su Alexanderplatz con la sua Lichtarchitektur, sulla cupola blu rosea, Guten Nacht Postamerplatz. Termino di scrivere. Axel dorme e io mi avvicino. Vorrei svegliarlo, no, anzi,vorrei entrare nelle sue vene, essere nella sua corrente circolatoria, con i battiti a mille e sentirmi viva, risucchiata nel suo ventricolo, scivolare fuori dalla sua vena cava superiore, alleggerirmi dall'anidride appiccicosa e arrivargli dritta in testa, fulminea, scossa dalle sue sinapsi per poi cadere esanime, tramortita dai sospiri.

Allungo il braccio per sfiorare il suo profilo, ma mi blocco.

Un monolgo inizia in me:

Anja trattieni il fiato che il frastuono del tuo respiro delay potrebbe assordare, trattieniti e non tossire, voltati, non ci pensare, Anja rimani nella tua prigione. Anja ricordati il dolore, non ti fidare. Anja soffoca. Soffoca. Ingoia carta e produci. Consuma penne, logorati lo stomaco, rimani in catalessi per ore e scrivi, scrivi. Tu sei l'osservatore non il personaggio. L’osservatore.”

Mi volto, devo fuggire da questo paradiso grigio, graues Paradies, seguo il sentiero di bozze e manoscritti per trovare l'uscita.

Esito.

Torno indietro e con la biro blu scrivo su un foglio a chiare lettere “Leccami tutta”.

Poso l'appunto sulla scrivania e questa volta me ne vado sul serio.

C'è l'aria fresca del post-pioggia in strada, prendo le U-bahn, rosso, verde, marrone, mi pento e non mi pento a fermate alterne.

Der Ausgang ist links”, l’uscita è a sinistra e scendo dal mezzo suburbano semi vuoto: stranamente non sono avvolta dalle mie paraffiniche visioni.

Arrivo a casa.

Mi faccio la doccia, mi siedo sul divano con in mano il mio taccuino e lo aspetto.









vivo tra la luna e il sole....

essere solo un po' meglio.